Amore bello

Amore bello sottolinea come il timore di perdere l’affetto dei familiari a volte porta a reprimere la propria natura per compiacere l’altro.

Il gatto allungato al sole chiuse gli occhi e sospirò, l’umana stava blaterando qualcosa ma lui non ci fece caso.

La donna si avvicinò e lui finse di dormire, allora lei gli mise sotto il muso il piatto con la colazione.
Lui aprì un occhio, annusò e si girò dall’altra parte.

“Quella zozzeria la puoi buttare nel cesso.” Miagolò lui stiracchiandosi.
“Non ti piace neanche questo…ma p…”
Al gatto parve di udire una bestemmia.

“Lo so io a chi dare questa schifosissima scatoletta!” Urlò lei concludendo la frase con un’altra bestemmia.
“Lui ne sarà ben felice!”

Il gatto riprese a dormire ma all’improvviso udì la voce della sua umana cambiare tono.
“Vieni amore bello guarda che buona pappa ti ho portato.”

La voce proveniva dal giardino, il gatto si incuriosì ma non ebbe voglia di alzarsi dal divano per andare a vedere con chi parlava la donna.
“Sarà uno di quei randagi pulciosi a cui passa il cibo che scarto.” Pensò, sprofondando la testa nel cuscino.

Il giorno seguente il gatto, che era un meraviglioso esemplare tigrato dal pelo lungo e folto, avvertì un certo languorino.
“Mammina ho fame.” Miagolò strusciandosi alle gambe della sua umana.
“Amore bello.” Disse la donna svuotando una bustina di cibo nel suo piatto.
Il gatto inorridì.
Era la stessa marca di cibo del giorno prima.

“Non la mangio questa robaccia!” Strilló, con la voce più acuta che riuscì a emettere.
“Mangia!” Intimò l’umana fissandolo negli occhi come a volerlo intimorire.
“Neanche morto.” Rispose lui saltando giù dal tavolo.

Le bestemmie si susseguirono come spot pubblicitari durante una campagna elettorale.
Il gatto salì indispettito sul divano.
“Stronza.” Mugugnò affondando la testa sul cuscino.
Poco dopo udì una voce mielosa.

“Amore bello.”
Il gatto si irrigidì: con chi cavolo stava parlando la sua umana?
“Sarà quel pelo rosso tutto sciancato che viene a mangiare a ufo tutti i santi giorni.” Si disse, riappoggiando la testa sul cuscino.
“Quello si mangerebbe anche la latta, deve avete la tenia.”

“Vieni amore bello della mamma che ti metto tanta pappa…tu sì che sei bravo e riconoscente. E non sei schizzinoso come quell’altro lì…”
Il gatto alzò di colpo la testa, l’umana stava parlando male di lui…ma con chi?
Il pelo rosso ora che ci pensava, si presentava sempre all’alba, per cui aveva già mangiato.

Lo splendido tigrato si sporse verso la finestra per osservare il giardino, vide la testa dell’umana, ma non vide il suo interlocutore.
Si rizzò in piedi avvicinandosi al vetro.
Ma non vide nulla, gatti non ce n’erano.
“Boh…” Pensò, tornando a dormire.

Il giorno seguente l’umana si presentò davanti all’esigente felino con la solita marca di cibo che lui tanto detestava. Aveva cambiato solo il gusto: pesce.

“Oh, no!” Sbottò il gatto. “Questa non capisce proprio un belino!”
Diede una sonora zampata alla ciotola puzzolente di pesce e tentò di coprirla come fossero escrementi in una lettiera.

“Non ti piace neanche il pesce?” Si stupì la donna accigliandosi.
“Cretina.” Fu la sintetica risposta del tigrato.

Bestemmia? Il gatto contò fino a tre e l’imprecazione squarciò il silenzio come botti di Capodanno.
La donna uscì ciabattando e sbraitando.

“Amore bello tu sì che sei bravo. Vieni…oh…ti piace eh? È tanto buona la pappa?
Non sei mica stronzo come quel gattaccio.”

“Stronzo gattaccio? Un conto è bestemmiare ma insultare me!”
Il tigrato si avvicinò alla finestra ma non riuscì a vedere quel dannato animale che si prendeva tanti immeritati complimenti e tutto il suo cibo.

Saltò giù dal divano e sbirciò attraverso la porta accostata.
“Belin!” Riuscì a balbettare mentre una nuvola di piume bianche gli volteggiò davanti al muso.
“Uccellaccio!” Strillò osservando l’enorme gabbiano.

“Sei splendido…” Continuava a ripetere l’umana rapita da quel candido sbatter d’ali.
“Ti uccido.” Sibilò il gatto balzando addosso all’uccello, un’ala lo colpì sul naso, lui indietreggiò, si scosse e balzò di nuovo in avanti ma quando si ritrovò l’enorme becco ricurvo a un centimetro dalla testa, scappò via.

“Ma cosa fai? Sei pazzo? Lascia stare il gabbiano!” Urlò la donna.
“Lo difendi? Mi voleva spaccare la testa come una noce di cocco.”
“Sparisci! fila subito in casa.” Lo rimproverò lei.
“Fatti sotto.” Rincarò l’uccello fissandolo con astio.

Il gatto rientrò in casa livido di rabbia. “Come osano quei due? Mi rubano il cibo, mi bullizzano!”
Il tigrato saltò sul davanzale della finestra e si mise a spiarli.

La sua umana continuava a comportarsi da idiota, si rivolgeva all’uccello con una sciocca vocina.
“Smettila di fare la scema, quella voce mielosa la devi usare solo per me! Manco con tuo figlio parli così. È la mia voce…mia!”
Ormai il naso del gatto era talmente schiacciato contro il vetro da sembrare quello di un vecchio pugile.

Quando l’umana rientrò in casa lui avrebbe voluto mettersi a piangere rotolandosi ai suoi piedi come una palla da bowling ma si trattenne.

“Hai fame?” Gli domandò la donna con voce gelida.
“No.”
Lei gli lasciò il piatto con del cibo sul tavolo.
“Non mi servi neanche più?” Piagnucolò lui inorridito.
“Ho capito non hai fame, allora lo porto a quel tesorino di gabbiano.”

Il gatto si sentì morire. Sbirciò dal vetro e vide che il gabbiano era ancora in giardino apollaiato tra l’erba come un mendicante all’esterno di un supermercato.

L’umana gli sorrise e gli lasciò il cibo. Quello lo ingoiò in un colpo solo.
“Disgustoso e villano.” Pensò il gatto con il muso premuto contro il vetro della finestra.
“Vieni qui.” La donna allungò la mano e quello schifoso pennuto si fece pure accarezzare. Al gatto salirono le lacrime agli occhi.

Quando l’umana rientrò in casa le corse incontro.
“Mamma non mi vuoi più bene?” La voce gli uscì talmente flebile che nessuno la sentì.
“Mamma ti supplico non abbandonarmi…”

La donna lo prese in braccio e lo baciò. Il gatto iniziò a dare le fusa strusciandole la testa contro il mento.
“Vuoi mangiare?”
“Sì.”

Da allora il tigrato smise di fare i capricci e trangugiò tutto il cibo che l’umana gli mise nella ciotola.

“Non avrai più neanche un bocconcino dal mio piatto.” Disse il tigrato osservando il gabbiano fermo in giardino. “Pane raffermo e pasta al sugo scotta, se ti va bene.” Ghignò il felino da dietro i vetri della finestra.

Melania Corradini

Il gatto tigrato del racconto di Melania Corradini

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