Broiler

Accendiamo per un attimo il riflettore sulle esistenze infelici e disperate degli animali geneticamente modificati destinati all’alimentazione umana.

Quattordici giorni alla mia morte.

Nella stanza c’è puzza di merda, chiazze verdastre sparse ovunque, sono appiccicate anche alle mie piume.

Voglio mostrarvi il mio corpo: ossa fragili e malformate che sfrigolano di dolore ogni volta che tento di mettermi in piedi.

Sono così grasso. Eppure sono solo un pulcino di sedici giorni.

Il mio petto è enorme, tanto gonfio da levarmi il fiato. E le mie cosce, due palloni da baseball pronti ad esplodere.

E io non posso far altro che restare seduto a guardare i miei inutili sforzi per rimettermi in piedi.

Sento il rumore dell’acqua piovana contro il tetto di lamiera.
Vorrei berla, sentirla addosso. Invece sono qui seduto ad accumulare polvere sulle piume sporche.

Dieci giorni alla mia morte.

Verrò smembrato e impacchettato come un vecchio giocattolo.
La mia vita verrà addentata come fosse cibo a cui gli umani non possono rinunciare.

Cinque giorni alla mia morte.

Respiro a fatica, dentro a questo capannone manca l’aria e la puzza punge le narici come una folata d’aceto.

Provo ad alzarmi, mi spingo in avanti con tutte le mie forze, ma le zampe si afflosciano come fossero steli di fiori piegati dal vento; mentre questa luce marcia splende giorno e notte come un sole malato.

Un giorno alla mia morte.

Mi hanno tagliato la punta del becco: temevano fossi aggressivo. Io, che neanche mi reggo in piedi.

Io, che desidero solo lavarmi via il guano dalle piume e asciugarmi al sole.

Dove ero rimasto?
A volte perdo il filo del discorso, divago…brucio di febbre.

Domani mi taglieranno la gola.
Volevo dirvelo in faccia: ho paura.
Ma la cosa peggiore è che nessuno si ricorderà della mia squallida vita.

Melania Corradini

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