Il conforto delle parole

Nelle mie discussioni con le persone che mangiano animali ho notato quanto vengano date, con poche varianti, sempre le stesse risposte e che queste tendano a voler essere autoconclusive, totalizzanti, come a voler rassicurare chi le pronuncia, il quale, in tal modo, risolve così ogni dilemma morale.

Una di queste è che nell’allevare gli animali non ci sarebbe nulla di male perché noi siamo onnivori e quindi facciamo quello che fanno gli altri animali, solo che abbiamo semplicemente affinato la tecnica, modernizzandola, anche se ovviamente siamo tutti concordi nel ritenere deprecabili gli allevamenti intensivi.

Ecco, onnivoro è già un primo esempio di ricorso a un termine affinché questa assolutezza di pensiero resti salda; un pensiero che non vuole essere problematizzato, pena una dissonanza cognitiva molto forte perché se si ammettesse che mangiare animali non è affatto necessario allora si dovrebbe prendere atto del fatto che si stanno compiendo delle scelte cruente senza necessità e questo non collimerebbe con l’idea che generalmente le persone hanno di loro stesse: un’idea che non di rado include l’amore per gli animali; in pratica ci si autoconvince che mangiare gli animali sia necessario e che quindi non si possa fare altrimenti anche se dispiace, purché, certamente, lo si faccia rispettando le norme sul benessere animale. Ci si convince quindi che il problema quindi non stia tanto nell’uccidere gli animali, ma nei famigerati allevamenti intensivi.

Andiamo quindi a problematizzare alcuni di questi termini:

Onnivoro

Il termine onnivoro viene usato a sproposito o forse non se ne conosce il termine: significa che possiamo mangiare sia vegetali che animali, ma a differenza dei carnivori non ci è affatto necessario mangiare animali.

L’aggettivo “necessario” esclude ogni possibilità di scelta ed è per questo che gli animali carnivori sono obbligati a predare per sopravvivere; nel nostro caso invece si apre lo spiraglio per una riflessione morale, dal momento che non siamo predatori naturali – quindi è assurdo paragonarci ai carnivori -, ma abbiamo iniziato ad allevare in epoca tardo neolitica solo quando siamo diventati stanziali e abbiamo sentito la necessità di accumulare dei beni; tuttavia, rispetto al tardo neolitico, abbiamo poi scoperto e affinato le tecniche di coltivazione e quindi possiamo tranquillamente sostituire l’accumulo di animali con quello dei vegetali senza che la nostra dieta ne risenta, dal momento che nei vegetali troviamo tutti i nutrienti che ci servono.

La predazione è un fatto naturale, mentre la pratica di allevare animali è culturale, risponde cioè a un’evoluzione culturale della nostra specie. Nel corso dei secoli abbiamo abbandonato molte pratiche per vari motivi, economici o di progresso morale, quindi oggi che sugli animali sappiamo molte più cose e che abbiamo la tecnologia per sfamarci senza bisogno di ucciderli, dovremmo prendere in considerazione questo cambiamento.

Allevamento intensivo

Quando si pensa agli allevamenti intensivi la prima immagine che ci viene in mente è quella di immensi capannoni in cui sono stipati migliaia di animali.

In realtà anche i piccoli allevamenti a conduzione domestica possono essere intensivi giacché l’aggettivo intensivo non indica quantitativamente la grandezza di un allevamento, ma le modalità, quindi la qualità, con cui si allevano gli animali.

Anche un allevamento di sole due mucche finalizzato alla produzione di latte è intensivo se le mucche vengono ingravidate di continuo affinché abbiano sempre una certa disponibilità di latte e se il vitellino gli viene sottratto di volta in volta per essere mandato al mattatoio.

In natura i vitelli restano con la madre anche fino a due anni, ma questo negli allevamenti per la produzione di latte non è possibile altrimenti la mucca non avrebbe il latte necessario a far guadagnare profitto all’allevatore e inoltre sarebbe dispendioso allevare i vitelli maschi, dal momento che una volta adulti non produrrebbero latte; affinché la mucca abbia sempre latte è necessario che sia sempre ingravidata, che partorisca un cucciolo dietro l’altro, senza alcun rispetto della sua esistenza, dei suoi legami, della sua biologia ed etologia.

Talvolta nei pascoli si vedono mucche con i vitellini. Vuol dire che sono animali allevati per la loro carne e non per il latte o che quel vitellino è una femmina, in tal caso potrebbe essere tenuta dall’allevatore perché dovrà avere lo stesso destino della madre: produrre latte.

Ogni allevamento implica un controllo totale e totalizzante sui corpi degli animali dal momento che questi individui vengono considerati solo come macchine da latte, o da uova o per loro carni, prodotti che camminano e respirano, da tenere in vita quel tanto che basta a raggiungere il peso ottimale. Questa concezione è sufficiente per definire “intensivo” ogni allevamento a prescindere dal numero e dal luogo in cui gli animali sono tenuti, se all’aperto o dentro un capannone.

Benessere animale

Il termine viene usato per indicare una serie di normative che stabiliscono i modi in cui un animale può essere allevato e poi ucciso. Già questa definizione costituisce un ossimoro di per sé, dal momento che non credo sia possibile raggiungere un ben essere, cioè uno stare bene, una qualità positiva del proprio essere, se viene meno il riconoscimento degli animali di essere individui soggetti della loro stessa vita per essere sostituito da quello di essere fornitori o produttori di carne, di latte, di uova.

Il ben essere sarebbe possibile solo se si agisse in nome degli interessi degli animali stessi – e dei singoli diversi individui all’interno del gruppo – e non dell’allevatore che li possiede per trarne profitto. E di quale ben essere possiamo parlare quando si trovano al cospetto del loro boia dentro alla sala di macellazione di un mattatoio? È possibile uccidere qualcuno, cioè sottrargli quello che ha di più caro al mondo – la sua vita, la sua stessa esistenza, vale a dire il suo interesse precipuo – pensando di ottemperare così al suo ben essere?

Inoltre, non tutti sanno che questo insieme di norme giuridiche che va sotto il falso nome – lo possiamo dire! – di benessere animale è finalizzato esclusivamente all’ottenimento di un prodotto più salubre per noi umani; si devono cioè garantire un minimo di norme igienico-sanitarie e la sopravvivenza minima degli animali affinché continuino a rendere quello per cui sono mantenuti in vita, che sia latte, carne, lana, uova.

Considerando però che la vita media di un animale in un allevamento è di pochi mesi, a parte le madri fattrici che vivono fino a un massimo di tre/cinque anni, a dir tanto, è evidente come a nessuno importi che questi animali si ammalino per lo stress, soffrano o muoiano di malattie varie, tanto nel profitto che si otterrà dai loro corpi è già tutto considerato.

Il benessere animale è quindi un insieme di norme che in nessun modo tiene conto dell’individualità degli animali – che peraltro reagiscono ognuno in modo diverso allo stress della cattività e manipolazione – ma è solamente finalizzato ad assicurarsi che l’animale continui a restare in vita quel tanto che basta affinché produca ciò per cui è stato fatto nascere e che il prodotto da loro ottenuto sia commestibile per noi umani.

Il motivo per cui non dovremmo mai far affidamento sul concetto di benessere animale è che in nessun modo tiene conto del valore della singola vita degli animali, ma solo del profitto che possono dare all’allevatore.

Quando sentiamo dire che gli allevatori o i pastori hanno a cuore i loro animali possiamo credergli, purché si comprenda che li hanno a cuore allo stesso modo in cui un industriale avrebbe a cuore i macchinari che servono a realizzare dei prodotti. Li hanno a cuore in quanto fonte di profitto o merce. La mercificazione di qualcuno ne impedisce il rispetto.

Ecco, in questa breve e sintetica disamina abbiamo dimostrato la fallacia di alcune tra le più comuni e tenaci obiezioni al veganismo. Appare evidente come molte persone facciano ricorso a questi termini – onnivoro, allevamento intensivo, benessere animale – senza aver mai riflettuto davvero sul loro significato, sia letterale, che in senso più ampio.

E dovrebbe anche essere evidente come una volta che si sia smantellato il concetto di necessità, mangiare animali rimanga una scelta ancora ammissibile solo perché legale e normalizzata. Bisogna comunque tener conto del fatto che se davvero basta il ricorso a questi termini, per quanto travisati, a giustificare quello che facciamo agli animali è perché comunque c’è una precisa considerazione morale del loro valore.

Preso atto di tutto ciò, se non piace sentirsi complici della violenza sugli animali, che si traggano dunque le proprie conclusioni. O che si ammetta, semplicemente, che della sofferenza degli animali non importa nulla (del perché a molti non importa nulla ne parleremo in altri articoli).

Rita Ciatti

Valutazione


Ma le pecore sognano lame elettriche? Un libro scritto da Rita Ciatti

“Ma le pecore sognano lame elettriche?” di Rita Ciatti è un testo che analizza il nostro rapporto con gli animali alla luce dello specismo. Il titolo, in omaggio al noto capolavoro di Philip K. Dick (“Ma gli androidi sognano pecore elettriche?”), ci mette in guardia da soluzioni future ancora più alienanti e distruttive per gli animali che passano sotto il nome di “benessere animale” e che, nel pretendere di migliorarne leggermente le sorti, ne ribadiscono e continuano a legittimarne il silente sterminio. Questo libro è sicuramente portatore di una visione radicale, ma ormai non più rimandabile.”

Leggi altri articoli di Rita:

Condividi e aiutaci a diffondere i nostri contenuti. Grazie.

Lascia un commento

App Veg Navigator

ISCRIVITI GRATUITAMENTE ALLA NEWSLETTER

  • Potrai avere informazioni sull’app Veg Navigator (Android e iOS).
  • Potrai scoprire dove mangiare nel rispetto di animali e ambiente.
  • Potrai scoprire nuovi locali vegan friendly della tua zona e non solo.
  • Nessun tipo di SPAM 
Spaghetti alla carbonara Rifugio Romano ristorante pizzeria di Roma
Sacher vegana servita da Teresa Carles ristorante di Barcellona
Piatto vegano preparato da Oh Ficomaeco di Brescia

Vuoi inviare una segnalazione?

Qui puoi segnalare a Essere Vegan se il locale non soddisfa le caratteristiche descritte.