È una storia a lieto fine, quella che vi voglio raccontare, ma che passa attraverso il dolore e la consapevolezza di quante tragedie nascano dalla mancanza di empatia.
Ormai è passato esattamente un anno da quella passeggiata nel bosco che mi ha fatto incontrare Bella. Ero con una conoscente, quando a un certo punto la vidi da lontano: un’asina con le gambe che affondavano nel fango, sola, in un recinto fatiscente nascosto da un capannone.
Le sue unghie erano talmente lunghe e deformate che per camminare doveva sollevare le gambe come farebbe una persona che si ritrova a camminare con degli sci attaccati ai piedi. Gonfia come un pallone, veniva nutrita con pezzi di cavolo marci e bagnati.
Quel giorno il caso ha voluto che ci fosse lì anche il suo proprietario. “Lo sa che lei rischia una denuncia per come è ridotto questo animale?”. Non riuscii a trattenermi. Lui mi rispose con aggressività: “Siete tutti maestri, arrivate qui e mi insegnate come si tiene un asino. Ma cosa credete di essere?”. Ebbi un momento di esitazione, ma poi l’istinto mi ha suggerito di cambiare approccio.
Ho iniziato a parlare con lui, a chiedergli cosa facesse lì quell’asino. “Si chiama Bella, la tengo qui perché mia nipote ogni tanto si diverte a vederla”. Ogni tanto? Vederla? Cosa impara un bambino vedendo un animale ridotto così?, mi chiedevo. Ma ho fatto finta di nulla, la conversazione proseguiva, gli raccontavo che lavoro in un maneggio con i bambini e i miei asini sono per loro dei grandi maestri di vita da accudire e coccolare.
Il sole stava tramontando e ci rimettemmo in cammino. Ma avevo la morte nel cuore: io sarei tornata a casa, i miei animali in quello stesso momento erano nella loro stalla pulita, a mangiare fieno asciutto.
Poi, il miracolo.
Avevo lasciato a quell’uomo il mio numero di telefono, rendendomi disponibile per trovargli un pareggiatore per sistemare quei piedi disgraziati di Bella. Squillò il telefono: “Se vieni a prendertela te la regalo”. Non potevo credere alle mie orecchie.
Iniziò un giro di telefonate incredibile: al proprietario del maneggio dove vivono i miei animali per chiedergli di aiutarmi a portarla via e la disponibilità a tenerla in pensione da lui, il pareggiatore, gli amici, il veterinario. Insomma, nel giro di due giorni Bella è diventata la mia adorata asinella.
Ho ancora le lacrime agli occhi pensando all’angoscia di quella notte. Saperla là da sola, al buio, contare le ore che mi separavano ancora da lei, la paura che non si ambientasse, che il taglio delle unghie dopo anni di incuria le creasse dei problemi.
Quando lei e i miei animali si sono visti e annusati per la prima volta ho pianto. Da quanto tempo non poteva camminare, rotolarsi, interagire coi suoi simili?
Quando l’ho salvata aveva 32 anni. Lunghi e interminabili gli anni di sofferenza e solitudine, senza un minimo di contatto sociale con i suoi simili. Una qualità di vita inesistente.
Oggi Bella è con me, ed è sempre più Bella.
Una storia a lieto fine che mi ricorda l’orrore dell’inconsapevolezza. E la bellezza dell’empatia. Ogni volta che la accarezzo penso a tutti gli animali che non hanno potuto avere tutto questo. E vorrei incoraggiare gli umani: non abbiate paura di affrontare le persone senza empatia. Prendetevi il tempo di parlare con loro. Di creare un corridoio di dialogo. Spesso è l’unico modo per cambiare il destino di un animale.
Quell’uomo era commosso quando la sua asina è diventata mia. È diventato più consapevole?
Non lo so. So solo che oggi un animale in meno sta soffrendo e riceve tutto l’amore che merita.
Silvia Allegri
Giornalista
Amante degli Animali