L’acquacoltura non è sostenibile

L’allevamento ittico intensivo è altamente impattante sull’ambiente anche in offshore, le conseguenze sull’ecosistema marino sono più che negative, considerando anche che l’acquacoltura è più che triplicata dal 1997 al 2017.

Le cause per cui l’acquacoltura non è una valida soluzione o alternativa alla pesca sono molteplici.

Mangimi

I mangimi prodotti per nutrire i pesci d’allevamento sono composti da farina di pesce, olio di pesce e additivi, questi ultimi vengono usati per far ingrassare più velocemente gli animali. Ma tutte queste sostanze hanno un impatto ambientale altamente nocivo.

Per produrre questo tipo di cibo vengono pescate in grandi quantità specie selvatiche come le sardine, gli sgombri, le acciughe solo per essere trasformate in mangime, impoverdo cosi l’ecosistema e aumentando il problema della sovrapesca. E, infine, mettendo a rischio la sopravvivenza di tutte quelle specie selvatiche, ad esempio i delfini, che si nutrono di piccoli pesci.

Teniamo conto che per i grassare un tonno sono necessari dai 20 ai 25Kg di pesce e servono dai 2,5 ai 5kg di pesce pescato per produrre un chilo di pesce da acquacoltura. Senza contare lo spreco di mangime che nelle gabbie arriva a sfiorare il 70% dovuto all’azione delle forti correnti.

Per ovviare a questi gravi problemi esistono dei mangimi vegetali che però presentano altre è non meno importanti problematiche come l’esposizione a fertilizzanti e pesticidi e l’ormai insostenibile pressione sul consumo di suolo.

Acquacoltura e disastri ambientali

Tipologie di acquacoltura

L’acquacoltura si differenzia in marina e continentale o di acqua dolce. Entrambe poi si suddividono in allevamenti in acque calde e in acque fredde.

Gli allevamenti di gamberetti tropicali in Africa Asia e America latina stanno distruggendo interi ecosistemi costieri. Per far spazio alle colture vengono abbattute vaste aree di mangrovie. Alterando così inevitabilmente la complessa e fondamentale biodiversità.
Costituita non solo da pesci e ostriche, ma anche da tutti quegli uccelli che vivono e nidificano tra gli alberi. E, nel lungo elenco delle sciagure, bisogna annoverare la perdita delle naturali difese della natura contro uragani e tsunami.

Gli allevamenti ittici si suddividono in varie tipologie
  • Molluschicolrura: allevamento di molluschi, soprattutto bivalvi, cozze, ostriche e vongole.
  • Piscicoltura: allevamento di pesci.
  • Alghicoltura: coltivazione di alghe.
  • Crostaceicoltura: allevamento di crostacei.

Non dimentichiamo che più del 50% del pesce consumato proviene da allevamenti ittici. Ma il maggior impatto ambientale è costituito dall’allevamento di pesci e crostacei.

Il problema delle deiezioni

Le feci prodotte negli allevamenti sono talmente concentrate che alterano i fondali danneggiando così moltissime specie selvatiche. Per ovviare a questo problema sono stati creati degli allevamenti in mare aperto, dove però emergono altre problematiche non meno importanti.

Spesso i pesci vengono allevati in aree in cui non sono nativi e se scappano attraverso le gabbie in rete, possono diventare specie invasive, alterando il delicato ecosistema marino.

Se invece le specie allevate sono autoctone, fuggendo e riproducendosi possono guastare le specie selvatiche, avendo un diverso patrimonio genetico. Senza dimenticare che spesso i pesci allevati sono malati e possono diffondere malattie e parassiti alle specie selvatiche indebolendole e compromettendone la sopravvivenza in natura.

Eutrofizzazione

L’alta densità di pesci all’interno degli allevamenti crea un’alta concentrazione di azoto, fosforo o zolfo che causano la eutrofizzazione, il consumo di tutto l’ossigeno, che comporta la distruzione di qualsiasi forma di vita.

Come avviene in qualsiasi tipologia di allevamento intensivo in continua e velocissima ascesa, il benessere degli animali rinchiusi nelle vasche è un’utopia. I pesci sono in sovrannumero, stipati, stressati e sofferenti, esposti ad ogni tipo di agenti patogeni, parassiti e malattie. Per questo vengono imbottiti di farmaci e vaccini che inevitabilmente contaminano la popolazione ittica locale.

La mancanza di spazio vitale porta gli animali a ferirsi, aggredendosi a vicenda, le ferite si infettano velocemente rendendo necessario l’uso di farmaci: antibiotici e antiparassitari che contribuiscono ad inquinare e danneggiare la fauna selvatica. I farmaci veterinari usati nell’industria ittica sono usati costantemente e in dosi massicce proprio perché le condizioni di salute dei pesci sono sempre precarie.

Macellazione

I pesci sia quelli selvatici, che quelli d’allevamento non vengono tutelati neanche durante la fase della macellazione, dove lo stordimento per loro, non è necessario.

Gli animali vengono estratti dall’acqua con grandi reti e senza alcun riguardo vengono lanciati sul ghiaccio. Dove muoiono lentamente d’asfissia. Le specie più grandi come i salmoni, le orate, i branzini impiegano anche venti minuti per morire. Venti minuti di atroce e muta agonia.

La lenta agonia dei pesci

  • Asfissia: i pesci sono tratti fuori dall’acqua e soffocano lentamente, a volte passano anche 20 minuti prima che muoiano.
  • Congelamento: i pesci vengono immersi nel ghiaccio che causa ipotermia e una lenta e dolorosa morte.
  • Sanguinamento: i pesci vengono tagliati con un coltello così da farli sanguinare fino alla morte. Questo processo dura dai 14 ai 15 minuti durante i quali i pesci soffrono e si dimenano.
  • Narcotizzazione da diossido di carbonio: i pesci sono introdotti in cisterne di acqua dove è stato disciolto diossido di carbonio che li stordisce, mentre loro si dibattono cercando di fuggire, perché non riescono a respirare.
  • Stordimento da percussione: i pesci vengono colpiti con un randello di legno o di plastica fino alla morte.
  • Stordimento elettrico: i pesci più grossi vengono trafitti con un arpione collegato all’elettricità ma spesso rimangono coscienti mentre muoiono dissanguati.
La mattanza dei pesci

I pesci negli allevamenti spesso vengono sventrati e macellati mentre sono ancora vivi. E spesso, vengono venduti ancora vivi e uccisi dal consumatore nel modo che preferisce.

Vi sembra giusto e umano?

Eppure i pesci provano dolore e paura ma per loro, ripeto, non è neanche obbligatorio lo stordimento prima della macellazione. Anzi, accade sovente che i pesci siano eviscerati, infilzati con le etichette, spellati e fatti a pezzi mentre sono ancora vivi e coscienti, mentre le loro urla silenziose restano impresse in quell’ultimo sbarrato e attonito sguardo colmo di dolore.

Melania Corradini


FONTI:
https://www.aquaponicdesign.it/acquacoltura-tecniche/
https://www.slowfood.it/cosa-facciamo/slow-fish/loceano-in-pericolo/acquacoltura/
https://www.keeptheplanet.org/problemi-ambientali-acquacoltura/

Altri articoli di Melania:

1 2 3
Condividi e aiutaci a diffondere i nostri contenuti. Grazie.

Lascia un commento

App Veg Navigator

ISCRIVITI GRATUITAMENTE ALLA NEWSLETTER

  • Potrai avere informazioni sull’app Veg Navigator (Android e iOS).
  • Potrai scoprire dove mangiare nel rispetto di animali e ambiente.
  • Potrai scoprire nuovi locali vegan friendly della tua zona e non solo.
  • Nessun tipo di SPAM 
Spaghetti alla carbonara Rifugio Romano ristorante pizzeria di Roma
Sacher vegana servita da Teresa Carles ristorante di Barcellona
Piatto vegano preparato da Oh Ficomaeco di Brescia

Vuoi inviare una segnalazione?

Qui puoi segnalare a Essere Vegan se il locale non soddisfa le caratteristiche descritte.