Memorie di un vitello

La sofferenza è universale: un dolore che accomuna tutti gli esseri viventi. Gli animali patiscono la reclusione e l’isolamento e sono perfettamente consapevoli di tutto ciò che gli accade. Uccidere queste creature innocenti strappa brandelli di coscienza ad ognuno di voi.

Non sono mai stato felice, né libero.
Non sono mai stato un figlio: non sono mai stato accudito da mia madre. Qualcuno glielo ha impedito.
Non ho mai bevuto il suo latte, né ricevuto il suo affetto.

Ho udito solo le sue urla strazianti quando gli uomini mi hanno strappato a lei. Avrei voluto gridare ma mi uscì solo un flebile lamento a bocca chiusa: uno spettatore silenzioso pieno di dolore.

La mia vita è stata breve e, se dovessi descriverla, farei fatica. È stata come il delirio bruciante di febbre di un moribondo.

È stata gelida, soffocante, impalpabile come un granello di polvere strofinato via, puzzolente come un mazzo di fiori putrefatti lasciati marcire in poca acqua.

Ed è stata profondamente infelice, un solitario monologo per pazzi; una crudeltà gratuita come ali strappate agli uccelli per impedire che volino via.

È stata come lo spegnersi di un sorriso appena accennato perché hai intravisto qualcosa di orribile.
È stato il terrore costante di confessare a me stesso la terribile verità che avevo intuito. È stato un lungo digiuno di cibo e affetto e luce.

È stato come avere delle pareti che mi si stringevano intorno, sentivo il panico e, se chiudevo gli occhi, non riuscivo a focalizzare niente di buono: solo oscurità e astinenza d’amore.

Fino a quando non è scoppiato il casino…calci, spintoni, insulti e il sapore del mio sangue in bocca.

Gli uomini erano di pessimo umore quel giorno e io non volevo andare con loro.
Il loro umore si tramutò presto in rabbia e il primo calcio che mi diede un tipo basso e tarchiato, mi spaccò una costola.
Urlai di dolore ma mi impuntai con tutte le mie forze per non proseguire.

Sapevo bene dove mi stavano portando.

Avvertii il secondo calcio sulla schiena, gli altri smisi di contarli.

Vinse la loro collera.

Mi trascinarono a forza strattonandomi e lacerandomi la pelle come un vecchio libro a cui vengono strappate tutte le pagine fino a lasciare abbandonata sul pavimento solo una logora copertina.

Melania Corradini

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