Nessuno mancò il bersaglio è un racconto che descrive una singolare e simpatica fantasia che io vorrei si tramutasse sempre più spesso in realtà. E racchiude un monito: siate gentili con tutti gli animali perché prima o poi l’Universo vi presenterà il conto.
Il piccione si sarebbe accontentato anche di una spruzzata di farina, tanto era affamato.
Davanti a lui c’era la porta aperta di un bar.
Entrò.
Ma non fece in tempo a beccare qualche briciola che sentì un urlo disumano
“Viaaa! Fuori di qui uccellaccio!”
“Ma fate vede da uno bravo” Pensò il piccione continuando a becchettare il cibo sul pavimento.
La scopata nel sedere lo colse di sorpresa.
L’uccello fuggì terrorizzato lasciando una lunga striscia verde appiccicata alle setole.
“Sporco uccello schifoso!” Si sentì urlare dietro.
“Mai quanto te!” Rispose il piccione ricordando il barista con le dita infilate nel naso.
Il giorno seguente il piccione tornò al bar, la prudenza era molto meno potente della fame.
Osservò l’interno del locale: l’uomo era dietro al bancone occupato a lavare le tazzine del caffè. Sempre che passarle sotto l’acqua fredda si potesse definire “lavare.”
Il colombo si avventurò tra i tavolini all’esterno del locale. Mangiò rapidamente tutte le briciole che riuscì a trovare “questo posto è una specie di mensa per i poveri” pensò deglutendo soddisfatto.
La scopata nel sedere lo colse nuovamente di sorpresa. E, nella foga di scappare, urtò con la testa contro la gamba di una sedia finendo a pancia all’aria.
“Belin che rabaton…” Mugugnò rimettendosi in piedi.
La scopa lo colpì di nuovo.
“Lurido schifoso, se torni t’ammazzo!”
Sbraitò l’uomo sputazzando saliva sui tavolini apparecchiati.
“Mai quanto te!” Rispose l’uccello che aveva visto più di una volta il barista intento a grattarsi via con l’unghia del mignolo il cerume dalle orecchie.
Il piccione dal capino bianco riuscì a infilarsi tra i rami di un’accogliente magnolia dove i suoi parenti avevano osservato le sue disavventure
“Franco mangia un po’ di quel gelato.”
Disse il piccione dal capino bianco rivolto a suo fratello.
“Ma…” Fece in tempo ad obbiettare Franco.
“Sì, lo so…il latte ti fa venire la diarrea.
Mangia!” Insistette il piccione dal capino bianco.
“Anzi…mangiate tutti quel belin di gelato.” Ordinò lui, sghignazzando soddisfatto.
La mattina dopo il piccione si presentò al bar all’orario d’apertura insieme ai suoi più cari amici e parenti.
E, mentre la luce saettò prepotente nel cielo terso, uno squadrone di piccioni in formazione da battaglia sganciò piccole bombe verdi striate di bianco direttamente sull’obbiettivo.
Nessuno mancò il bersaglio.
Una carrellata di merda finì sul barista che non fece in tempo ad entrare nel locale ma rimase con le chiavi in mano e un’espressione atterrita dipinta sul viso mentre veniva ricoperto d’escrementi.
L’uomo pensò di avere le allucinazioni, si stropicciò gli occhi, imprecò scuotendo il capo, fino a quando non ne sentì il sapore sulle labbra, allora cacciò un urlo disperato tentando di ripararsi la testa con le mani. Ma il liquido colloso si insinuò tra le sue dita imbrattandogli il viso e gli occhi.
Niente potè salvarlo da quelle verdi mitragliate.
L’uomo, ormai ridotto ad un mucchietto di guano, osservò con occhi pieni di sgomento gli uccelli ormai vuoti d’intestino abbracciare l’orizzonte.
Melania Corradini