Se fossi io…

Tante persone sono convinte che la sofferenza degli altri animali (altri rispetto a noi, ché pure noi siamo animali) non sia paragonabile alla nostra; da sempre ci dicono (la cultura in cui nasciamo, la società in cui cresciamo) che gli animali non sono come noi attribuendo a questa diversità una differenza anche emotiva nell’accezione di un disvalore e ce lo ricordano attraverso il linguaggio, i modi di dire, la narrazione mediatica, la rappresentazione nelle arti figurative, nella letteratura, il trattamento giuridico, l’esempio che si trasmette di generazione in generazione, a casa, a scuola, ovunque e soprattutto attraverso la normalizzazione e naturalizzazione del loro sfruttamento.

Lo specismo è proprio questa trasmissione di un disvalore che dà luogo a una differenza ontologica, cioè la creazione del presupposto fondamentale per continuare a giustificare il loro sfruttamento.

Finché le persone resteranno convinte di questa differenza tra noi e gli altri animali rimarranno anche distanti emotivamente dalla loro sofferenza perché appunto continueranno a credere che in fondo non soffrano così tanto, che stiano bene così, che si accontentino di mangiare e bere, che non abbiano una vita interiore, emozioni, sentimenti, attaccamento alla vita e ai loro figli, compagni, affetti e che l’importante sia ucciderli velocemente.

Mi chiedono spesso perché sia vegana e perché tra tutte le ingiustizie al mondo abbia deciso di concentrare i miei sforzi, i miei studi, le mie energie, i miei scritti proprio su questa. La risposta è in ciò che ho appena spiegato: perché se finalmente anche gli altri iniziassero a capire, a vedere, a sentire la sofferenza degli animali pari alla loro nella malaugurata ipotesi in cui trovassero a essere trattati allo stesso modo, finalmente vedrebbero la questione animale per quello che è: un’ingiustizia di proporzioni gigantesche, ancor più perché si rinnova secondo dopo secondo, senza tregua, senza fine.

Se nei mattatoi venissero portati i nostri figli o genitori, se fossimo costretti a vivere nei lager ingozzati di cibo per essere ingrassati a dovere in quanto considerati solo cibo e prodotti, se fossimo esposti dietro le sbarre per il sollazzo di visitatori o dentro vasche di cemento e vetro, se fossimo inseguiti e catturati, torturati per una sedicente scienza, se toccasse a noi essere trattati come loro, come ci sentiremmo?

Se fossi io…

Comincia tutto da qui, da questa domanda.

Che pochissimi si fanno perché la società in cui viviamo e il profitto e privilegi che trae dagli animali fa di tutto per negare, nascondere, mistificare, edulcorare questa enorme massa di dolore di cui tutti, volenti o nolenti, intenzionalmente o meno ci rendiamo complici.

Rita Ciatti

Valutazione


Ma le pecore sognano lame elettriche? Un libro scritto da Rita Ciatti

“Ma le pecore sognano lame elettriche?” di Rita Ciatti è un testo che analizza il nostro rapporto con gli animali alla luce dello specismo. Il titolo, in omaggio al noto capolavoro di Philip K. Dick (“Ma gli androidi sognano pecore elettriche?”), ci mette in guardia da soluzioni future ancora più alienanti e distruttive per gli animali che passano sotto il nome di “benessere animale” e che, nel pretendere di migliorarne leggermente le sorti, ne ribadiscono e continuano a legittimarne il silente sterminio. Questo libro è sicuramente portatore di una visione radicale, ma ormai non più rimandabile.”

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